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I servizi per le persone con disabilita'

Le urgenze, le opportunità e gli ostacoli per un cambio di prospettiva e una riscrittura dei criteri di qualità dei servizi

Carlo Francescutti, Mauro Leoni, Marco Faini

Carlo Francescutti è coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità. Lavora come responsabile del Servizio di Integrazione lavorativa dell’Aas5 “Friuli Occidentale”- Regione Friuli Venezia Giulia.
Mauro Leoni è psicologo e psicoterapeuta, dirigente sanitario presso Fondazione Sospiro. Dottore di ricerca in Psicologia dello sviluppo e delle disabilità, docente presso l’Università di Pavia, ha pubblicato articoli e monografie su tematiche inerenti le disabilità intellettive e la psicologia clinica. Si occupa di formazione e consulenza per i servizi di questo settore.
Marco Faini è Direttore Anffas Brescia Onlus e consulente sulle politiche sociali per ANFFAS Onlus Nazionale

Contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; IOS, P.zza Libertà, 2 – 26048 Sospiro (CR)

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Si crede che il bisogno sia la causa della nascita delle cose: in verità è l’effetto delle cose già nate.
Friedrich Nietzsche, La gaia scienza.

Il cambiamento necessario
Nel corso degli ultimi trent’anni l’evoluzione culturale e giuridica in tema di disabilità è stata radicale ma la trasmissione di questo cambiamento nei sistemi di welfare, nelle organizzazioni e nella gestione dei servizi, resta ancora da realizzare. Questo ritardo è imputabile in parte alla complessità intrinseca dei sistemi di welfare e delle istituzioni, complessità che non è facile “aggredire” in tempi brevi.
Nel caso delle norme, ad esempio, il lavoro di monitoraggio dell’applicazione della Convenzione Onu per i diritti delle persona con disabilità (CRPD) promossa dall’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità (www.lavoro.gov/osservatorio) ha reso evidente come siano decine le leggi del nostro paese che richiedano abrogazioni, riscritture o modifiche perché chiaramente contrastanti con lo spirito e i linguaggi della CRPD. A questo si aggiunge poi un evidente problema politico. I sistemi di welfare pur “scricchiolando” sotto i colpi della crisi finanziaria dello Stato e pur con le loro palesi iniquità nella ripartizione di benefici e servizi, hanno trovato comunque un loro equilibrio ed hanno al contempo garantito importanti opportunità per lo sviluppo umano e sociale delle persone con disabilità. “Metterci mano” e ripensarli suscita preoccupazioni nella misura in cui qualcosa nel sistema di garanzie potrebbe cambiare: l’accordo su cosa non piace “oggi” è molto più facile rispetto al trovare un’intesa su cosa dovrebbe accadere “domani”. Siamo di fronte a dinamiche di cui non è facile prevedere modalità e tempi di sviluppo. Sarebbe tuttavia un errore considerare che il cambiamento necessario sia frenato esclusivamente da variabili di macro-sistema. Un’altra delle ragioni fondamentali che frena il cambiamento è la difficoltà evidente con sui si realizza la saldatura e sinergia sul piano concettuale, semantico e pratico tra le tre componenti effettive di ogni autentico cambiamento: quella culturale, quella giuridica e quella scientifica. Le osservazioni che siamo venuti sviluppando sono particolarmente vere nel caso delle persone con disabilità intellettiva per le quali pregiudizi e stigmatizzazioni particolarmente negative e diffuse sembrano rendere ancora più critica la situazione.
L’obiettivo di questo testo e di proporre un approfondimento della questione e indicare il ruolo di facilitatore che potrebbe svolgere una definizione di “standard di qualità dei servizi” riconosciuti a livello nazionale

La motivazione per guardare lontano
La sintesi del cambiamento culturale e giuridico nella visione della persona con disabilità è ben documentato a livello internazionale dall’evoluzione delle fonti normative del diritto patrocinata dalle Nazioni Unite. Richiamiamo solo alcuni documenti come la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) e la Dichiarazione dei Diritti delle persone con ritardo mentale (1971), fino ad arrivare alla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (2006) - ratificata dal nostro paese con la Legge 18 del 2009 -, che impegna gli stati firmatari a porre in essere tutte le azioni necessari sul piano normativo, amministrativo e tecnico per rendere effettiva l’eguaglianza e la non discriminazione delle persone con disabilità e quindi la loro piena partecipazione e inclusione nella società. Guardare alla persona con disabilità alla luce dei “diritti umani” e dell’inclusione sociale comporta nella pratica un revisione importante delle politiche e in particolare una riscrittura di “mandati e prassi operative” per i servizi. E’ ben vero che come sottolineato dai “movimenti e dalle associazioni” delle persona con disabilità la CRPD del 2006 è in sé già operativa nella misura in cui sulla sua base chiunque si ritenga discriminato per la propria condizione di disabilità può ricorre al giudice per ottenere giustizia. Ma il veicolo principale di applicazione è un’azione organica ed esplicita che cambi le politiche a favore delle persone con disabilità.
Ma è proprio a questo livello che si crea una discontinuità e un vuoto da colmare. Com’è ben noto al progettista, al responsabile dei servizi e al clinico i contenuti della CRPD devono penetrare nella quotidianità e pertanto nella vita reale delle persone con disabilità e di chi eroga sostegni diretti alle persone. Si pone con urgenza quindi l’abbinamento dei principi e delle visioni con un’altrettanto forte capacità di rispondere a domande sul “come fare” affinché si realizzino.

In realtà nella letteratura scientifica sono evidenti diverse prospettive che saldano potenzialmente la rivoluzione culturale e giuridica portata dalla CRPD con quella delle pratiche professionali. Tra queste in modo specifico sottolineiamo le diverse forme di concezione ecologica della disabilità (di cui il modello bio-psico-sociale promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è tra i più conosciuti), il modello della Qualità della vita di una persona e il ruolo giocato dai sostegni individualizzati nel migliorare l’impatto delle disabilità e il funzionamento umano, quindi in ultimo la qualità di vita della persona con disabilità.

Più in particolare, nell’ambito della riflessione sulla disabilità intellettiva la critica crescente alla centralità del concetto di intelligenza e delle capacità di adattamento come criterio diagnostico e guida per la riabilitazione, sta portando in modo sempre più evidente a concepire la persona nella sua interezza e nella sua situazione di vita concreta. Le sole informazioni sull’intelligenza, una diagnosi fondata solo sulla misura del quoziente d’intelligenza, la semplice elencazione delle menomazioni cognitive e delle limitazioni nelle attività, forniscono una comprensione molto limitata del funzionamento della persona e pertanto il consenso scientifico internazionale indica come necessaria l’integrazione con un assessment multidisciplinare delle dimensioni specifiche del funzionamento umano.
Il pluridecennale lavoro sulla Qualità della Vita ha progressivamente tentato di integrare le dinamiche del desiderio personale (soggettivo) e delle condizioni di vita oggettive, in un processo di allineamento che vede congiunti gli aspetti etici e valoriali con quelli pragmatici. Il costrutto di “qualità della vita” è divenuto il collegamento fra valori generali riflessi nei diritti sociali e la vita personale dell’individuo, oltre che il veicolo mediante il quale l’uguaglianza riferita all’individuo, l’empowerment e la soddisfazione di vita possono essere compresi e rafforzati.
Nel processo di implementazione della qualità di vita, il costrutto dei sostegni viene indicato dalla ricerca scientifica come un modello necessario per definire contenuti e strategie per concretizzare l’approccio centrato sulla persona verso il miglioramento degli esiti personali, funzionali e clinici. Avere un modello dei sostegni necessari alle persone è diventato la base del progetto di vita (l’etichetta che fa finalmente chiarezza nella diatriba storica tra progetto educativo e abilitativo individualizzato; il tema dell’assegnazione di risorse economiche ha trovato risposte di efficacia superiore quando si è sperimentato l’uso dei livelli o dell’intensità dei bisogni di sostegno come criteri di scelta. C’è poi una crescente capacità della ricerca scientifica di individuare interventi di dimostrata efficacia in chiave abilitativa e riabilitativa di cui una delle esemplificazioni operative è il contributo importantissimo portato dalle Linee Guida su “Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti” promosse dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute.
Ma la penetrazione di queste prospettive scientifiche e l’implementazione dell’apparato tecnico e metodologico necessario a tradurle efficacemente nel lavoro quotidiano dei servizi resta nel nostro paese ancora troppo limitata perché finora solo parzialmente sostenuta da una progettualità condivisa e da un’azione istituzionale convinta. Paradossalmente lo stesso lavoro di definizione di Linee Guida, sopra citato, rischia, se non esteso e rafforzato, di avere effetti potenzialmente negativi poiché potrebbe lasciare per lungo tempo “in ombra” la condizione della parte quantitativamente maggiore di persone, quelle con altre condizioni di disabilità intellettiva e soprattutto quelle in età adulta: c’è forse in questi casi meno necessità di scienza, appropriatezza, competenza e rispetto dei diritti da non meritare una “linea guida”?

I rischi
La condizione attuale può essere quindi definita come “critica” nel senso etimologico del termine ovvero “carica” di incertezza e con rischi evidenti di stallo nel processo di innovazione, i cui risvolti sono così sintetizzabili:

1. Il dibattito sull’applicazione della CRPD rischia di essere percepito ancora come troppo astratto o confinato entro questioni di principio senza ricadute effettive nelle procedure quotidiane e senza diffusione capillare nei territori e nelle diverse Regioni;

2. Incalzati dalle politiche di contenimento della spesa può accadere che gestori pubblici e privati di servizi non vedano altro che ricadere nelle “vecchie certezze”, e quindi approcci classificatori o diagnostici, oppure ad una visione riabilitativa sic et simpliciter;

3. Come conseguenza degli elementi appena descritti, i sistemi di accreditamento regionali ma ancor peggio le prassi nella gestione dei servizi per la disabilità rimangono legati a “quello che c’è” e a “ciò che si è sempre fatto”. In altri termini si replica ma non si innova, né in termini di mandato, né di visione e sviluppo delle competenze professionali degli operatori. Come molti commentatori hanno osservato i le persone con disabilità in età adulta e quelle con disabilità intellettiva sembrano rimanere sospese in un “eterno presente”: sono gli stessi servizi, naturalmente senza volerlo, a far si che aspettative e aspirazioni, esperienze e ricordi delle persone con disabilità vengano cancellati nell’impossibilità di accogliere e facilitare il loro Progetto di vita;

4. I bisogni della persona con disabilità e soprattutto della persona con disabilità intellettiva spesso risultano “invisibili”. Consideriamo come esempio le condizioni di basso funzionamento (o disabilità gravi e gravissime come purtroppo si usa ancora dire) associate a comportamenti problematici: i bisogni della persona vengono sottostimati, oppure a causa della difficoltà nel definire cosa è importante per la persona si predilige un trattamento orientato all’assistenza e alla mera protezione sociale generica;

5. La progettazione dei servizi rischia di richiamare solo “simbolicamente” modelli orientati all’autodeterminazione e all’empowerment personale e comunitario ma di fatto senza che queste speranze vengano alimentate, nutrite e accompagnate nel processo di cambiamento;
Considerando gli elementi sopra descritti nel loro insieme, emerge una evidente difficoltà persino nell’immaginare una progettazione dei servizi che garantisca spazio ai fattori soggettivi, così come alle preferenze e ai valori individuali. La perorata “centralità della persona con disabilità”, come conseguenza estrema torna pertanto ad essere un’utopia, in attesa di tempi migliori.

L’opportunità di coniugare diritti ed evidenza scientifica: riscrivere i processi di qualità per l’organizzazione dei servizi
Una possibile chiave di volta per saldare le diverse prospettive e facilitare il processo di cambiamento, è quella di generare una nuova classe di strumenti di indirizzo che coniughi la prospettiva dei diritti della persona con disabilità con le principali indicazioni che derivano dalla letteratura scientifica e consolidi, valorizzi e metta a regime quelle esperienze innovative che sono state realizzate in diversi territori del nostro paese. Concretamente, questo costruirebbe la base per la definizione di criteri di qualità per l’organizzazione dei servizi che siano di riferimento per i processi di “certificazione di qualità” e per i “sistemi di accreditamento dei servizi” su base regionale e locale. Si tratta di un processo multi-stakeholder i cui protagonisti, alleati, devono essere le istituzioni pubbliche nazionali e regionali, la comunità scientifica, il terzo settore, il movimento delle persone con disabilità, gli enti e i soggetti attivi nel settore della certificazione di qualità. Diversi paesi europei ed extraeuropei, dopo l’approvazione della CRPD hanno sviluppato progetti di scrittura/riscrittura delle norme di qualità dei servizi.
Ed è con lo stesso spirito e intendimento che, grazie allo stimolo di UNI - Ente Nazionale Italiano di Unificazione - e grazie all’adesione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per tramite dell’Osservatorio Nazionale sulle Disabilità, è stato avviato un tavolo di lavoro per la riscrittura della norma UNI 11010 sui servizi residenziali e semiresidenziali per le persone con disabilità. Il gruppo ha una struttura aperta, proprio con la prospettiva di agganciare al processo soggetti in grado di rappresentare le diverse parti in gioco.
Mentre i lavori descritti procedono e attendono nuovi contributi, sulla base di una cospicuo lavoro di ricerca e delle esperienze innovative realizzate è possibile delineare e condividere una prospettiva di riferimento per nuovi standard di qualità dei servizi. Concretamente, i servizi per persone con disabilità, dovranno affrontare un percorso probabilmente difficile ma ben chiaro negli obiettivi attesi:

1. Dovranno innanzitutto superare definitivamente il retaggio superato del servizio come struttura statica e inamovibile. Sarà quindi imprescindibile sviluppare delineare “processi di qualità” che siano centrati sulla costruzione del Progetto di vita e su sistemi di verifica degli esiti oggettivi e soggettivi che esitano in un sistema differenziato di servizi e opportunità per la persona con disabilità. Un materiale utile e pensato per il contesto italiano è costituito dalle Linee Guida per la definizione degli Standard di Qualità nei servizi per le disabilità in Italia - Assessment, interventi, outcomes promosse da AIRIM (Associazione Italiana per lo Studio delle Disabilità Intellettive ed Evolutive), che illustrano come sviluppare modelli di progetti di vita e di programmi di intervento, basati su evidenze scientifiche e centrati sulle preferenze e sui valori della persona, allineando dati con esiti rendicontati.
Sono poi disponibili esperienze significative per il contesto italiano, come quella dell’Associazione scientifica AMICO-DI (www.amicodi.org), la quale sta definendo un intero corpus di protocolli e strumenti operativi per declinare i principi citati in tutte le contingenze possibili di disabilità intellettiva adulta, quindi per qualsiasi livello di funzionamento e complessità, rimanendo in un percorso di rigore e metodo ma potenziando proprio gli aspetti soggettivi e valoriali. Questa esperienza è rappresentativa del principio cardine di questo vettore di cambiamento: i servizi vanno cambiati anche e soprattutto a livello di micro-sistema, offrendo formazioni sempre più specialistiche e basate su trattamenti con evidenze di efficacia e supervisioni volte a potenziare i livelli massimi possibili di soddisfazione, benessere e inclusione.

2. Dovranno applicare la logica dei sostegni (Art. 26 conv. ONU) per il raggiungimento di azioni significative nelle aree di vita e per l’aumento delle opportunità reali di vita,. Dovranno al contempo declinare il modello di Qualità della Vita attraverso strumenti tecnici codificati e metodologie scientificamente fondate che facilitino abilitazione e riabilitazione.

Questo processo implica una revisione dei criteri per la definizione delle risorse dedicate alle persone con disabilità, che necessariamente si sposteranno da modelli di erogazione basati su menomazioni e limitazioni nelle attività verso procedure capaci di considerare bisogni, desideri e opportunità individuali.

3. Le norme di qualità dovranno infine avere riferimenti procedurali forti, ossia essere accompagnati da Linee Guida Tecniche di livello nazionale che declinino operativamente gli standard di qualità proposti e illustrino il patrimonio di interventi di cui risulta testata l’efficacia nel promuovere lo sviluppo e l’inclusione delle persone con disabilità intellettiva. Questo consentirà di allineare l’operato quotidiano ai principi cardine discussi, e di estendere eticamente queste prassi a tutti i contesti clinici, quindi alle condizioni più complesse creando nei fatti le condizioni per una comprensione e una pratica dell’integrazione tra interventi di valenza sanitaria, educativa e assistenziale che oggi invece è per lo più appiattita, da nord a sud del paese, sul solo dato “contabile”, in altri termini sull’individuazione di “chi paga” i servizi. Al contempo la stessa formazione degli operatori dovrà essere coerente con la prospettiva del Progetto di vita e della Qualità della vita, e garantire la qualità e la gamma necessaria di interventi specialistici.
Il lavoro di riscrittura della norma UNI vedrà nel 2015 la stesura della prima bozza di riferimento e la loro diffusione sarà accompagnata da occasioni di confronto ed eventi di presentazione che consentiranno, in modo aperto e trasparente, di raccogliere suggerimenti e integrazioni per renderle strumento riconosciuto e condiviso di miglioramento della qualità dei servizi.

Bibliografia essenziale
Francescutti, C., Grizzo, A. (2012). Disabilità, misure e decisioni, Welfare Oggi, 5, 89-92.
Leoni, M., et al. (2008). Allineare il paradigma dei Sostegni e i modelli di Qualità di Vita. Studio su soggetto singolo con gravi disabilità intellettive, American Journal on Mental Retardation Edizione Italiana, 6, 528-539.
Schalock, R.L. et al. (2014). An evidence-based approach to organization evaluation and change in human service organizations evaluation and program planning, Evaluation and Program Planning, 45, 110-118.
Wehmeyer et al. (2008), The intellectual disability construct and its relation to human functioning, Intellectual and Developmental Disabilities, 46, 311-318.
World Health Organization (2002), Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute, ICF, Trento, Erickson.